Partite a scacchi a Varanasi
Varanasi. Benares. Kashi, la luminosa. La città del Dio Shiva.
Dopo anni mi ha stretta di nuovo tra le sue braccia, come una vecchia madre che accoglie i propri figli che tornano a casa dopo tanto tempo lontano. Varanasi la sento "Casa". Quel 2007 fu uno spartiacque per me: un'esperienza in fondo breve, nella mia vita di studentessa universitaria tirocinante alla Benares Hindu University, ma indelebile come un'impronta nel cemento fresco destinata a rimanere lì per sempre.
Come si può descrivere l'Indescrivibile?
Varanasi, secondo alcuni testi, è la città più antica del mondo, abitata continuativamente da più di 3500 anni. Oggi è grande, caotica, brulicante di gente, di auto, di bici, di clacson. Ma la vera anima vibrante della città non la troverete per le strade trafficate, ma lungo il fiume, sui ghat, i gradoni che scendono verso il Gange.
Il Gange. Mata Ganga, la Madre Ganga.
Varanasi È il Gange, un binomio inscindibile.
Per gli hindu è la città più sacra dell'India intera e ogni fedele, almeno una volta nella vita, ha il dovere di immergersi nelle sue torbide acque da almeno cinque diversi ghat.
Ma non solo, ascoltate bene! Secondo la tradizione, Varanasi è l'unico posto al mondo in cui, se si muore, ci si può ricongiungere immediatamente con l'Assoluto, liberando l'anima dal saṃsāra, il ciclo delle rinascite. Solo qui si può interrompere la ruota infinita.
Ogni anno, da migliaia di anni, milioni di hindu hanno atteso la propria morte in questo luogo mistico. Fiumi di anime si sono riversate nei secoli su queste sponde esclusivamente per morire ed essere bruciate sulle pire.
È qualcosa di inconcepibile per noi occidentali: le persone vanno lì e attendono la morte.
Aspettano. E basta, con pazienza.
A Manikarnika Ghat, il ghat delle cremazioni, il fuoco brucia ininterrottamente dalla notte dei tempi. Si dice che non sia mai stato spento da quando l'uomo ne ha memoria.
È un'esperienza impressionante camminare per la prima volta in mezzo a quei vicoli scuri. Ad ogni ora sfilano cortei funebri accompagnati dal tintinnare dei campanelli; la gente canta, spinge, si accalca, spintona, prega. L'aria crepita, satura di un'energia che fa drizzare i peli, giuro. È intrisa dell'odore acre del fumo color piombo. E ovunque -ovunque!- muraglioni di legna, tonnellate e tonnellate di legna stipata in ogni anfratto. Ne serve tanta, ogni giorno.
A Varanasi la senti proprio, la Morte. La respiri, la tocchi, la vedi, la ascolti cantare nelle litanie funebri. È sconvolgente. Thanatos cammina su e giù per i vicoli della città antica come una vecchia amica, come una compagnia da cui non si può scappare, che non si può evitare. È la vicina di casa anziana che ti saluta con un gesto rapido della mano quando esci per fare la spesa al mercato, quando ti bevi un chai all'angolo, quando cammini assorto nei tuoi pensieri veloci.
Eppure, sapete, non è affatto una città triste. Anzi. Varanasi è piena di vita, di colore, di profumi, di bambini che giocano su e giù per i gradoni inseguendo gli acquiloni, di donne che fanno il bucato nel fiume, di musica, di gente che si lava in un turbinio di bolle di sapone, di bufali che fanno il bagno, di sadhu in preghiera, di coppie in luna di miele.
Qui la Vita e la Morte sono compagne di giochi, ogni giorno si sfidano a scacchi in duelli micidiali, confabulano a mezza voce sulle nostre sorti. Qui, come forse in nessun altro luogo al Mondo, il mistero dell'Esistenza si dipana in tutta la sua meraviglia e spietatezza. Su questi ghat, in questi vicoli, la consapevolezza dell'inevitabile transitorietà del Mondo ti colpisce in faccia come una pugno ben assestato. Ti stordisce. Ti spaventa. Ti disgusta, anche.
Perché nel nostro ricco e privilegiatao Occidente la Morte è diventata un tabù: non se ne parla, non se ne deve parlare, non si può accettare. È un argomento scomodo, di cui non si può discutere, che va esorcizzato.
Ed è stupido, in fondo, perché l'unica certezza che abbiamo nel momento in cui nasciamo è che prima o poi moriremo e torneremo a essere Polvere.
Varanasi, maestra saggia e navigata, ti spiega questo basilare concetto con la semplicità di un'immagine: il fuoco, l'aria che si riempie di fumo, il cielo terso e le rondini che volano rapide in cerchio. Stop.
Tutto scorre. Tutto muta. Tutto ritorna.
Dal mio diario di bordo del 28 settembre 2007, quasi una vita fa.
Ho respirato la Morte, oggi. Lassù.
Sulla torretta gremita di anime vacue le rondini vorticavano leste nelle spirali nere di fumo.
L'odore di quel fumo!
E poi, sulla riva, legna. Legna legna legna. A perdita d'occhio. Nelle pire i corpi tornavano ad esser polvere, liberando finalmente l'Impalpabile.
"Non si può piangere, davanti ai fuochi. O le loro anime non riusciranno ad arrivare a Dio."
Ho chiuso gli occhi. Forse il fumo, forse altro, stava risvegliando lacrime vietate troppo traditrici.
In quell'attimo la Vita si è manifestata troppo violentemente per poterne sopportare la vista.
L'universale Verità non era alla mia portata: la Morte mi fa ancora troppa paura.
In ogni respiro, brandelli di vita non mia.
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