Filippine, tra aspettative e realtà
Ammetto che quando decisi di comprare online il biglietto che mi avrebbe portato alle Filippine avevo in effetti molte, forse troppe, aspettative.
È uno di quei Paesi alla fine del mondo in cui, pensavo, probabilmente non sarei mai stata: troppe ore di volo, biglietti troppo cari partendo dall'Italia, clima non eccezionale durante le nostre ferie estive... Insomma, sospettavo che sarebbe rimasto nella wishlist a tempo indeterminato. Così, quando trovai quel biglietto così vergognosamente economico per Manila partendo da Bangkok, città in cui in quel momento stavo trascorrendo qualche giorno, non ho tentennato nemmeno un secondo. Nel giro di due giorni atterrai su suolo filippino, sulle spalle i miei soliti 7 kg di zaino e un entusiasmo incontenibile. L'idea di aver raggiunto una terra così lontana e sconosciuta ma di cui avevo sentito parlare così tanto mi rendeva fremente in modo esagerato, come quei giocattolini che si caricano a molla ruotando una piccola manovella in genere posta con poca clemenza nel di dietro.
Il mio programma inziale, sotto l'onda delle aspettative, prevedeva di starci almeno un mese per riuscire a spostarmi con calma nel Paese. Avrei dato la precedenza a una delle grandi isole più famose, Palawan, e alla zona montuosa a nord di Manila, dove avrei potuto ammirare risaie a terrazzamenti, fare qualche lungo trekking nelle valli incantate popolate da antiche etnie nascoste qua e là tra le montagne.
Peccato che abbia avuto immediatamente un frontale con la realtà, ben diversa dalle sopracitate aspettative.
Risultato: dopo due settimane sono letteralmente fuggita a gambe levate, con le pive nel sacco e la coda tra le gambe.
Non fraintendetemi: Madre Natura, laggiù, ha fatto sfoggio delle proprie doti creative migliori, dando forse il suo meglio quando ha deciso di sparpagliare in quell'angolo di oceano queste isole (pare 7000), benedette da una varietà di flora e fauna senza eguali. Le spiagge selvagge frustate dai venti oceanici, le lagune dall'acqua cristallina, certi scorci su quelle vette dalla vegetazione fitta e cupa sono senza ombra di dubbio angoli di Eden di fronte alla cui selvatica bellezza l'essere umano dovrebbe semplicemente rimanere in silenzio e inchinarsi. Ho visto una parte così ridotta di questo angolo di Mondo da essere quasi ridicola e, per questo, ci tengo a sottolineare che con il mio resoconto non sto giudicando un Paese, ma solo descrivendo un'esperienza. Spiacevole, sì, ma in ogni caso solo una personalissima e limitatissima esperienza.
Le Filippine sono salite alla ribalta come una della mete turistiche più desiderabili soltanto negli ultimi 15 anni al massimo, prima se ne sentiva parlare davvero pochissimo. È incredibile quanto piattaforme come Instagram abbiano fatto crescere in modo esponenziale il numero di visitatori stranieri, spinti dal desiderio di ammirare gli stessi luoghi visti sui social.
Il risultato, a mio avviso, è abbastanza inquietante e non so quale di questi aspetti mi abbia turbato di più:
• mandrie di turisti alla ricerca del selfie perfetto da postare sul proprio profilo che passano letteralmente ORE a scattare foto in modo ossessivo compulsivo. Ho visto luoghi da sogno presi letteralmente d'assalto dagli stranieri che si mettono in fila per poter avere il proprio shooting time, locali che si improvvisano fotografi e mettono in posa i clienti, addirittura noleggiano alle ragazze vestiti sgargianti e vaporosi per risultare più cool nelle fotografie da postare su Instagram. Così per ore e ore, tutto il giorno, tutti i giorni. Gli stessi scatti, le stesse pose, gli stessi post online. Gente che va lì non per tanto per godere realmente dello spettacolo della Natura, ma solo per poter sfoggiare uno scatto da urlo sulle piattaforme. Per me è agghiacciante. La serie Black Mirror in confronto è una favoletta per bambini.
• popolazione locale impreparata a gestire un flusso in continua crescita di stranieri a cui si aggiunge una totale mancanza di consapevolezza ambientale. Risultato: edilizia scellerata che dà alla luce mostri in cemento abominevoli, spazzatura ovunque, immondizia abbandonata lungo le carreggiate e i sentieri, tonnellate di plastica galleggiante nel mare. I primi giorni ho cercato di raccogliere quello che potevo lungo la strada, ma mi sono velocemente accorta che stavo sprecando il mio tempo perché qualunque zona ne è straripante;
• (questa, più di tutte, poteebbe essere una riflessione personale totalmente erronea e fallace, ma desidero condividere in ogni caso la mia impressione) la gente del posto si dimostra gentile fin tanto che sei disposto a spendere. Turista occidentale = pollo da spennare. E lo posso ampiamente comprendere e anche giustificare, in un certo qual modo. Ma se, come me, sei un backpacker che viaggia al risparmio e con un budget giornaliero assai limitato allora la musica cambia: non mi sono affatto sentita benvenuta, né accolta. I prezzi esorbitanti per qualunque tipo di attività, dal giro sulla barchetta al trekking di due giorni, dalla spedizione nelle grotte o verso le cascate, mi hanno messo realmente in difficoltà e più volte sono stata costretta a rinunciare al programma che avevo in mente, spesso quasi sentendomi "derisa" quando, con candore, sostenevo "Mi dispiace, non posso. È un prezzo troppo fuori budget."
• trasporti locali inesistenti. O noleggi una moto o un'auto, o viaggi con i van turistici con aria condizionata costantemente puntata sui 5° se va bene (quando fuori ce ne sono almeno 25 in più), cari come il fuoco e che ti permettono di spostarti solo tra le tappe turistiche più conosciute. Se vuoi andare per i fatti tuoi in zone poco battute ti aggiusti. Più e più volte per percorrere 30 km mi è capitato di pagare lo stesso prezzo che in India ho pagato per 24 ore di viaggio in treno. Incomprensibile. E, per me, inaccettabile;
Oltre a questi punti critici, ci sono stati altri due aspetti che hanno contribuito a rendere quella parentesi di Viaggio profondamente sgradevole e avvilente, ossia:
• il cibo tremendo! Chi mi conosce lo sa: sono vegetariana da moltissimi anni per una scelta etica, ma non sono una persona schifiltosa. Mi faccio andare bene tutto, sempre. Ho mangiato cose improponibili nei posti più infernali (non scendo nei dettagli perché potrebbe venirvi un attacco di cagotto solo a immaginarli, certi posti), seduta per terra, sulla sabbia nel deserto, nelle tende dei pastori nomadi, in piedi sui treni affollati. Non sono una persona con molte pretese in fatto di cibo. Ma santo cielo, nelle Filippine il cibo è imbarazzante! Non ho riscontrato alcuna cultura culinaria, nessun amore nella preparazione del cibo, nell'uso di spezie, erbe e materie prime. Ogni giorno, in qualunque luogo sia stata, tutto ciò che ho trovato è sempre stato solo: riso bianco, pollo/pesce fritto, uova fritte e carne rossa in umido. Punto. Stop. Nient'altro. Sono sopravvissuta due settimane a suon di riso bianco e verdure saltate semicrude, spesso al limite del commestibile. Il tutto accompagnato da litri di caffè istantaneo che, credetemi, era l'unica cosa passabile. Ed è un vero peccato, perché quella terra annaffiata dalla pioggia e scaldata dal sole mi sembra così fertile che probabilmente solo sputando per terra si potrebbe fare crescere un albero nel giro di un mese;
• ultimo, ma non per importanza, il meteo. Ovviamente non è responsabilità delle Filippine in sé, ma sembra che come ultimo souvenir il Paese abbia voluto giocarmi un ultimo tiro mancino: un gelido, beffardo, odioso, nebbioso, umido, piovoso, fangoso, ventoso, fastidioso tempo di merda.
Abbandonata l'isola di Palawan per la quantità di turismo (brutto) e l'immondizia onnipresente, ho confidato in un trekking di più giorni in mezzo alle risaie tra le montagne. Dalla capitale, dopo aver trascorso 10 ore su un pullman notturno scomodissimo al cui interno la temperatura si aggirava intorno ai 3 gradi centigradi, sono giunta finalmente in questa zona montuosa a nord di Manila per avventurarmi, ingenuamente entusiasta, alla scoperta di questa zona dalla maestosità tanto decantata. Come anticipatovi, il cielo è sempre stato di un'inclemenza sconcertante e quasi con accanimento e con una precisione oserei dire chirurgica ha scagliato al suolo muraglioni d'acqua e una nebbia fredda e impenetrabile in qualunque luogo mi spostassi per cercare almeno un raggio di sole. A quel punto ho dovuto irrimediabilmente abortire l'idea del trekking nelle risaie dal momento che la prospettiva di finire annegata nel fango non era tra le più allettanti. Oltretutto, non sarebbe stato in ogni caso possibile vedere NULLA attraverso la cortina di nebbione costante, così fitta e densa che la Pianura Padana a novembre non è nulla in confronto.
Così, con l'umore sotto le suole fangose e il muschio ormai prossimo a comparirmi pure sotto le ascelle tant'era l'umidità, ho accolto con gioia la prospettiva di risalire su un secondo bus notturno con i suoi soliti 3 gradi Celsius per tornare e Manila.
Stenderei un velo sulla capitale che, tra tutte le grandi megalopoli del mondo che abbia visto, è l'unica in cui io non abbia trovato assolutamente nulla da vedere, da fare, da ammirare. Il nulla cosmico.
Questo viaggio infausto, per amor di onestà, ha avuto anche un momento di pura gioia: la partenza!
Dare l'addio a un Paese, qualunque esso sia, mi ha sempre trasmesso una malinconia profonda, una sorta di mesta saudade che si protrae in genere per molti giorni.
Non è stato questo il caso: dal finestrino dell'aereo ho finalmente salutato dall'alto l'immensa metropoli e, con un enorme sorriso e il primo, beffardo raggio di sole sul volto dopo molti giorni, ho potuto dire "A mai più rivedersi!".
Mi dispiace molto, ma non sono riuscita a trovare nulla -NULLA- che mi abbia fatto desiderare di rimanere anche solo un giorno in più.
Penso che questo capitolo di Viaggio sia stato, nonostante tutto, importante e in un certo senso formativo. Il Viaggio non è sempre interessante, non sempre è facile. A volte ci sono alcuni luoghi che, per una serie infinita di motivi, non ci fanno stare bene, ci fanno sentire fuori posto e non accolti. Il Viaggio, soprattutto in solitaria, difficilmente è "divertente". Anzi, non è quasi mai divertente. Proprio per niente. Le situazioni in cui sento di divertirmi sono ben diverse da quelle che sto vivendo in Viaggio da sola.
Per quanto abbia scritto questo ultimo post in tono ironico, questo capitolo mi ha davvero messo molto in difficoltà e mi ha fatto dubitare del progetto in sé. Più volte ho avuto l'umore così sottoterra che ho desiderato semplicemente cercare il volo più economico possibile per l'Italia e tornare a casa.
Perché sentivo che non stavo imparando nulla, da quella terra; mi sembrava di stare sprecando del tempo, oltre che denaro, trascorrendo le giornate in mezzo a persone poco amichevoli e senza realmente nulla da fare; sentivo di avere perso completamente l'entusiasmo di Andare avanti e il richiamo della mia comfort zone casalinga si faceva sempre più pressante.
A distanza di un mese e mezzo da quell'ultimo pomeriggio a Manila mi rendo conto di quanto ciò che ci circonda influisca profondamente sul nostro umore, sulle nostre ambizioni. Addirittura sulla percezione di noi stessi, a volte. Pensavo di non farcela più a continuare, mi sono sentita completamente disorientata e senza una meta, senza un motivo.
E invece, superato il temporale, mi rendo conto di essere ancora più carica di energia rispetto alle prime settimane, più serena nella mia solitudine e più felice che mai nel perdermi nel Mondo.
E quindi... Si riparte.
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