Polaroid di Vietnam

 



Inhale. Exhale. Inhale. Exhale.

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

In India, nell'ashram, per la prima volta in vita mia mi hanno insegnato a respirare. Come un mantra, ogni giorno, ascoltavo questa nenia ripetuta con voce profonda dai miei maestri di Yoga, interiorizzandola.

Una volta uscita da quel perimetro di pace,  però, l'India, in tutta la sua irriverenza, ha scardinato quel poco che a fatica avevo imparato durante settimane chiusa in quell'oasi fuori dal tempo. L'ultimo periodo a Calcutta mi ha messo ko come un pugno ben assestato al fianco destro, dritto al fegato. 

I gas di scarico velenosi dalla città; l'aria gelida e inclemente del mattino; l'odore di corpi vecchi o malati, o soltanto tristi, a Kalighat; la mia stanzetta eccessivamente pervasa dal fumo dell'incenso per scacciare i brutti pensieri... Tutto quanto rendeva la respirazione complicata, sofferta, innaturale. Difficile.

Ho salutato l'India con un groppo in gola e la mente ovattata. Come una coperta di lana bagnata buttata sulle spalle, la consapevolezza delle ultime settimane mi opprimeva, mi schiacciava al suolo con un peso inaudito.

È con questo spirito in tumulto e un affaticamento generale che ho messo piede in Vietnam.

...Vietnam...

È stato come respirare a pieni polmoni dopo settimane. È stato un sospiro di sollievo a lungo trattenuto, un'espirazione liberatoria seguita da un'inspirazione profonda e leggera.

Secoli di giochi di potere spietati e di guerre feroci non hanno piegato lo spirito fiero e resistente come il bambù del popolo vietnamita, né sono riusciti a strappar loro il  sorriso che sfoggiano come il più meraviglioso dei belletti. 

Mi piace l'idea di ricordare quei giorni dolci come fossero delle istantanee, scatti rubati in un mese e mezzo di vagabondaggi dall'estremo sud al nord del Paese; polaroid un po' sfocate appese alla parete da ammirare ogni volta che si rientra a casa, stanchi, dopo una giornata di lavoro.

Vietnam e la sua luce, anfratti di antiche città illuminati dal bagliore fioco e seducente delle lanterne in carta colorata che con un solo sguardo ti trasportano in un mondo sospeso nel tempo.



Vietnam e i suoi claustrofobici cunicoli scavati a mano, chilometri e chilometri nel ventre della nuda terra per sfuggire a un nemico troppo tronfio e arrogante per poter comprendere quanto questi uomini e queste donne così minuti potessero rivelarsi  ingegnose, flessibili e inarrestabili macchine da guerra.




Vietnam e i suoi templi centenari e le sue pagode sfarzose. Ovunque, nei luoghi più incredibili: su spiagge solitarie, o pizzicati tra edifici moderni; in mezzo ad un lago o nascosti tra le montagne; circondati da giardini e da bonsai, da vasche pullulanti di carpe o sul nudo asfalto. E sono belli, tutti incredibilmente belli da lasciare senza fiato; culle di quiete nel bel mezzo di un Mondo che corre troppo veloce.

Vietnam e il suo cibo fresco, saporito e colorato


che, come la tela di un pittore impressionista, irretisce lo sguardo prima ancora che il gusto.

Vietnam e il suo caffè. Litri di caffè. Caffè all'uovo di Hanoi, caffè salato di Huè (non storcete il naso... Non avete idea di che delizia sia!), caffè nero come la pece, caffè con ghiaccio e latte di cocco. Mai in vita mia ho sentito così tanto la necessità di bere caffè come in Vietnam, che ti invita a sederti ad ogni ora ad un tavolino lungo la strada. Perché ovunque, dal villaggio alla grande città, puoi trovare un piccolo bar, un carretto, un baracchino confusionario che inaspettatamente e in ogni momento è in grado di stupire le papille con effetti speciali energizzanti.


Vietnam e le sue città. Hanoi, Huè, Hoi An, Nha Trang, Saigon. Hanno quel fascino ipnotico che ti rapisce, che ti strega, che ti fa sentire stranamente a casa nonostante siano completamente diverse dal tuo habitat naturale. Città che, come nella migliore delle ricette, combinano ingredienti segreti spesso in contrasto tra loro: antichi templi dai colori accesi; grattacieli slanciati; traffico nervoso e giardini avvolti dal silenzio; viuzze appena illuminate; mercati affollati; motorini che sfrecciano in ogni direzione apparentemente senza logica; parchi circondati dai fiori; ragazze in eleganti abiti tradizionali con boccioli tra i capelli che si mettono in posa per farsi scattare qualche foto dalle amiche.

Vietnam e la sua gente che si alza prima dell'alba per ritrovarsi nei parchi, sulle rive dei laghetti cittadini o lungo la strada per l'attività fisica mattutina. Corsa, Tai Chi, ginnastica, badminton, danza... Vale la pena puntare la sveglia alle 5.30 di mattina solo per raggiungere uno di questi luoghi di ritrovo e, semplicemente, ammirarli. Ammirare la loro disciplina a qualunque età, i loro sorrisi divertiti mentre giocano a volano o mentre eseguono passetti di aerobica ripaga la fatica di qualunque alzataccia.

Vietnam e i suoi karaoke improponibili a ogni ora del giorno, improvvisati a bordo strada con casse portatili o nei locali dedicati. Mai sentito gente più stonata di loro, un supplizio per le orecchie. 

Vietnam in bicicletta, lungo campi di riso smeraldini in cui le donne lavorano chine, il tipico cappello di paglia a punta sulla testa; o su sentieri pieni fango dove ogni pedalata è una fatica immane e rimanere in equilibrio è un'impresa. 

Vietnam e la serenità. Il suo popolo è un popolo sereno, allegro, gentile. Si vede, ogni giorno, in qualunque attività svolta. Siedono ai tavolini dei caffè, su sedioline minuscole, chiacchierano e ridono. Lavorano nei cantieri, nei ristoranti, per le strade, nei mercati, si scambiano battute, spettegolano, sorridono. 

Vietnam con il suo leggero e costante disordine perfettamente funzionante. 

Vietnam e le sue coltivazioni di riso a perdita d'occhio, su terrazzamenti avvolti nella nebbia,


tra montagne carsiche che spuntano dalla terra impettite verso il cielo.

Vietnam e le sue spiagge da cartolina, le acque cristalline che lambiscono isole di pescatori coccolate dal sole tropicale.

Vietnam e le sue montagne fredde, uggiose, nebbiose; le case in legno, le donne vestite con abiti che raccontano storie antiche, le guance arrossate dal vento, i neonati legati sulla schiena. 

Tutto, in Vietnam, è stato come un balsamo curativo. Mi ha tenuto compagnia nei momenti di maggior solitudine, ha lenito la nostalgia quando pungeva di più, come una spina conficcata nel piede. Forse proprio perché lì mi sono sentita a Casa come in nessun altro posto al Mondo prima.

Perché Casa non è un luogo, ma una sensazione.

E manca già. Mancherà sempre.

Ho respirato a pieni polmoni, ho calmato il battito del cuore. 

Si riparte.





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